Dopo la laurea in Ingegneria dell’Informazione, Bruno Faccini e Paolo Nicolò Giubelli hanno dato vita al progetto L’Occhio del Fotografo, blog di fotografia che vanta oltre 126.000 follower, centinaia di recensioni positive, e corsi di fotografia online che stanno per superare le 5 milioni di visualizzazioni.
Con Tecniche Nuove Editore, hanno pubblicato Foodporn. L’arte di fotografare il cibo (2020) e il più recente Fotografare. In 52 tutorial settimanali (2023), in cui danno consigli di fotografia, in pillole, a fotografi in erba e amatori. In occasione del lancio del libro, abbiamo pensato di intervistare i due autori, per conoscerli meglio e farci rivelare qualche retroscena di questo mestiere affascinante e creativo.
1. Ormai da diversi anni vi occupate di fotografia a livello professionale. Cosa vi ha spinto verso questo mondo?
Tutto è nato un po’ per caso e un po’ per necessità. Tanti anni fa volevamo spendere i nostri primi soldi guadagnati per uno smartphone, ma il modello che doveva uscire aveva un difetto reso noto dalle riviste di settore. Proprio in quei giorni un cliente, per il quale stavamo realizzando il sito web, ci portò delle fotografie tutte sfocate. Capimmo che avremmo potuto offrire un miglior servizio integrando la fotografia nel nostro lavoro e decidemmo così di dirottare quel budget in un paio di buone fotocamere. Nei mesi di studio che seguirono, da autodidatti, capimmo che c’era modo di riversare su un video-blog quello che stavamo imparando, per creare uno spazio creativo tutto nostro. Da lì è nato l’Occhio del Fotografo.
2. Da lì, corsi, un blog e anche due libri. Uno dei quali, appena uscito. Tanto interesse per la fotografia. Perché? Cosa “cercano” i vostri corsisti?
Tanti cercano consigli su come muovere i primi passi, magari dopo aver ricevuto in regalo una fotocamera: quali accessori acquistare, come risolvere i primi problemi di esposizione o di messa a fuoco “traballante”. Una parte più ristretta, ma più avanzata, vuole approfondire temi particolari, come il ritratto, la fotografia del cibo o la postproduzione digitale. Come vale per noi stessi, vogliono imparare a migliorarsi ogni giorno, per trarre soddisfazione dai propri scatti. Crediamo che fotografare consenta a tutti noi, un po’ alienati dalla vita contemporanea ricca di stress, di ricavare un nostro spazio privato in cui meditare, stare con noi stessi, sfidarci e poterci stupire coi nostri progressi.
3. Che consiglio dareste ad un aspirante fotografo?
Chi produce fotocamere e accessori ci vuole convincere che solo comprando l’ultimo ritrovato della tecnologia potremo migliorare le nostre foto. Chi comincia deve invece puntare ad una tecnica di base solida e allo studio dell’immagine nell’arte. Quindi il nostro consiglio è di investire sui libri, di imparare bene le basi e di studiare i grandi fotografi, dagli inizi ad oggi, oltre naturalmente a fare pratica. Poi, maturare un proprio stile e lavorare sulle progettualità. Nell’era dell’intelligenza artificiale che si sta aprendo, sempre di più conterà ciò che il fotografo metterà di sé stesso nel proprio lavoro.
4. L’avvento dei social ha rivoluzionato la fotografia stessa, fotocamere di alta qualità incorporate negli smartphone e software di fotoelaborazione alla portata di tutti stanno in qualche modo “sminuendo” la vostra professionalità?
No, sono innovazioni che per lo più hanno aperto nuovi mercati e possibilità, rendendo la fotografia ancora più popolare, quotidiana, immediata, magari fruita un po’ più superficialmente, alzando l’asticella della qualità tecnica. Molte di queste innovazioni sono utili anche al fotografo professionista, che può fare più cose di prima e in meno tempo. Quello che però fa sempre la differenza è il saper cogliere il momento giusto, saper gestire la luce, il soggetto e soprattutto passare dall’idea alla foto finita. In verità chi non si pone un problema, non cerca nemmeno la via più “automatica” per risolverlo… semplicemente lo lascia lì. In tanti workshop ci siamo resi conto che quasi nessuno conosceva alcune funzionalità di base della fotocamera degli smartphone, come la modalità “ritratto”.
5. Spesso si rimane delusi nel vedere un panorama fantastico trasformarsi in una vastità piatta e anonima nella foto stampata?
Intanto sarebbe già bello che si stampasse di più, perché spesso ci limitiamo a contemplare uno scatto sul display di uno smartphone. La fotografia richiede di pensare in due dimensioni, ma soprattutto fa i conti con una visione molto diversa da quella umana, quella fotografica appunto, che è più precisa ma “meccanica” e priva di quella “elaborazione emozionale” che il nostro cervello esegue sul campo. Ecco perché è importante rielaborare le foto, aumentando l’enfasi su alcuni aspetti e riducendola su altri, in base a che cosa abbiamo “provato” in quel luogo. È importantissimo, dopo aver fatto la foto, reinterpretarla con gli strumenti di postproduzione per renderla così come la vogliamo ricordare noi.
6. La fotografia del paesaggio è tra le più difficili?
La fotografia di paesaggio è contemporaneamente facile e difficile. Facile perché non è una foto di alta complessità tecnica, rispetto ad esempio ad uno still life con luci artificiali in studio. Il vero problema è essere nel posto giusto, al momento giusto (spesso svegliandosi quando tutti ancora dormono) e nelle condizioni meteo giuste; può essere una vera sfida portare a casa un’immagine che ci soddisfa. In questo senso, è una fotografia difficilissima.
7. Un consiglio velocissimo per rendere bidimensionale l’emozione provata guardando uno spettacolo della natura o uno scorcio urbano per esempio.
Per rendere di nuovo “tridimensionale” l’emozione che può suscitare da uno scatto, il consiglio è quello di usare le linee naturalmente presenti nell’immagine per far convogliare lo sguardo dell’osservatore sul soggetto che ci interessa.
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