Avere successo grazie al potere delle domande

Frank Sesno, ex anchorman della Casa Bianca, sostiene che “per avere risposte bisogna fare domande”. Meglio ancora se vengono fatte le domande giuste, alle persone giuste e al momento giusto. Un’affermazione che potrebbe sembrare banale, ma che non lo è affatto.
Nel libro Il potere delle domande, Sesno ha raccolto moltissimi esempi reali per mostrare come tutti noi, facendo le domande giuste, possiamo ottenere informazioni che diversamente ci sfuggirebbero, risolvere problemi complessi, essere più creativi, creare rapporti umani più saldi.
Vediamo un caso.

L’inquisitore cortese.

Barry Spodak è esperto di valutazione delle minacce. Ha studiato persone che custodivano segreti oscuri o altamente rischiosi. Sa come parlare con loro e ha messo a punto dei protocolli specifici per interrogarle, costruire un ponte con loro e farle aprire, almeno un poco. Punta a farsi rivelare pensieri e intenzioni, in modo da stabilire se sono “portate alla violenza”. Barry addestra agenti dell’FBI, dei servizi segreti e federali a interrogare potenziali assassini seriali, terroristi o candidati all’assassinio di presidenti prima che agiscano. Le scoperte più marginali di Barry sono però applicabili in generale e i suoi strumenti si possono adoperare nei luoghi della vita quotidiana.

Per Barry, ognuno è un enigma. Esistono però persone più complicate e misteriose di altre, e che è più urgente riuscire a comprendere. Interessato da sempre a costoro, ha scoperto questo mestiere mentre studiava per la specializzazione a Washington, alla fine degli anni ’70. Il suo campo specifico era quello dei criminali violenti dichiarati non colpevoli per infermità mentale. Il programma di studi comprendeva un periodo di tirocinio al St. Elizabeth’s Hospital, ai suoi tempi uno degli istituti psichiatrici più avanzati del paese. Tra le responsabilità di Barry al St Elizabeth rientrava la conduzione di sedute di terapia di gruppo.

Un giorno si presentò un nuovo arrivato, che si sedette in disparte a osservare e ascoltare, ma partecipando raramente. Sembrava controllato e tranquillo, piuttosto innocuo. Non aveva anamnesi di infermità mentale. Da fuori nulla indicava che rappresentasse una minaccia per chiunque. Eppure tutti conoscevano la cruda realtà: aveva tentato di uccidere il presidente degli Stati Uniti.

Il 30 marzo 1981, John Hinckley Jr. aveva fatto fuoco sei volte con una calibro 22 mentre il presidente Ronald Reagan usciva dal Washington Hilton Hotel e si dirigeva verso le auto della scorta. La prima pallottola colpì alla testa il portavoce del presidente, James Brady. La seconda prese l’agente di polizia Thomas Delahanty al collo. La terza colpì la finestra di un edificio sul lato opposto della via. L’agente speciale Jerry Parr spinse Reagan nella limousine mentre la quarta pallottola centrava all’addome l’agente dei servizi segreti Timothy McCarthy, che faceva scudo a Reagan con il proprio corpo. Il quinto colpo prese un fianco della limousine. Il sesto rimbalzò sull’auto e colpì il presidente sotto il braccio sinistro, penetrando nel corpo e fermandosi nel polmone a meno di tre centimetri dal cuore. Il presidente rischiò di morire a causa dell’infezione causata dalla ferita.

Hinckley aveva un’attrazione malsana per l’attrice Jodie Foster. Quando era studente a Yale l’aveva importunata telefonicamente. Uccidendo il presidente, era convinto di attrarre la sua attenzione e di far colpo su di lei. Il tribunale lo giudicò non imputabile per infermità mentale. Quando si unì al gruppo di Barry aveva 26 anni.

Barry ricorda che Hinckley sembrava spaventato dagli altri internati; nei primi giorni parlava poco con tutti. Così cercò di farlo aprire.Preso in disparte, in conversazioni a due, Hinckley profferiva qualche parola e si apriva un po’. “Dopo la terapia di gruppo parlava con me”, ricorda Barry. “Hinckley era convinto che avessimo più o meno la stessa età, quindi non si sentiva minacciato da me.” Non è difficile capirne il motivo. Barry parla con calma, con voce gentile e morbida. Ascolta con gli occhi. Si servì di tali qualità per creare pian piano un certo rapporto con il giovane che aveva quasi ucciso un presidente.

“Sono riuscito a sedermi con lui fuori dall’edificio dell’istituto per capire un po’ la sua storia, per convincerlo a spiegare meglio come era arrivato a compiere quel gesto.” Barry non entra nei particolari per tutelare la privacy di Hinckley, ma ha imparato che è possibile invogliare un potenziale assassino a parlare interrogandolo con decisione, ma con rispetto, e prestandogli orecchio con partecipazione.

Tratto da :
Il potere delle domande
Frank Sesno
Editore Tecniche Nuove